STUDI – Con la spesa pubblica che supera i 1.000 miliardi di euro serve una PA più efficiente. L’analisi dell’Ufficio Studi su IlSussidiario.net
Dal quadro di finanza pubblica previsto dal Governo si delinea per il 2022 una manovra espansiva di 22,6 miliardi di euro di maggiore deficit, mentre gli interventi straordinari per contrastare l’epidemia hanno dilatato la presenza dello Stato nell’economia, richiedendo più efficienza della Pubblica amministrazione per gestire gli investimenti, attuare con tempestività il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e creare valore aggiunto dai processi di accumulazione di capitale pubblico.
Una analisi del quadro macroeconomico contenuto nella Nota di aggiornamento al DEF varata la scorsa settimana, delle tendenze della finanza pubblica e delle direttrici della prossima manovra di bilancio è proposta dall’Ufficio Studi Confartigianato nell’articolo Verso la manovra/ Gli ostacoli per riportare il Pil sopra i livelli del 2007 a firma di Enrico Quintavalle, pubblicato su IlSussidiario.net.
Nel triennio 2021-2024 si delinea, grazie alla robusta crescita economica, un politica di bilancio che rimarrà espansiva. Nella prossima manovra di bilancio saranno privilegiati gli interventi in grado di generare crescita, sostenere l’accumulazione di capitale e la dinamica della produttività e aumentare l’occupazione. La combinazione di una maggiore crescita reale e una più alta inflazione contribuiranno alla riduzione del rapporto debito/PIL già da quest’anno.
Gli interventi durante l’emergenza hanno determinato ricadute di entità straordinaria sul bilancio pubblico, portando nel 2021 la spesa pubblica a superare i 1.000 miliardi di euro. A fronte del maggiore peso dello Stato in economia, serve una Pubblica amministrazione più efficiente: secondo gli indicatori di qualità dei servizi pubblici l’Italia è agli ultimi posti tra i 27 paesi dell’Ue. Una macchina pubblica più performante serve da subito, per gestire la delicata partita degli investimenti pubblici del PNRR.
L’analisi si conclude ricordando alcuni dei rischi all’orizzonte, tra cui lo shock di 46,2 miliardi di euro di maggiori costi per le MPI per l’acquisto di commodities non energetiche e gli effetti recessivi dell’aumento del prezzo del petrolio per una economia, come quella italiana, con un elevata dipendenza energetica.
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