MEDIA – Il futuro dell’automotive: crisi e opportunità secondo Spirito Artigiano

MEDIA – Il futuro dell’automotive: crisi e opportunità secondo Spirito Artigiano

Il 2024 segna un anno cruciale per l’industria automobilistica, un settore che sta vivendo un periodo di crisi. Il nuovo numero di Spirito Artigiano si concentra sulla necessità di rispondere alle sfide imposte da un mercato che sembra essere in stallo, ma anche sulle opportunità di trasformazione che potrebbero emergere da questo contesto complesso.

Giulio Sapelli, Presidente della Fondazione Germozzi, indica le prospettive di una nuova politica industriale che sostenga la “foresta produttiva” del Paese. Sapelli sottolinea l’importanza di investimenti strategici per rilanciare le piccole e medie imprese (PMI), molte delle quali sono a gestione familiare e potrebbero non avere la forza di affrontare le difficoltà del mercato. La proposta di creare una holding finanziaria/industriale, con il supporto pubblico e privato, ha lo scopo di preservare il patrimonio industriale e di garantirne lo sviluppo, evitando che queste imprese vengano svendute a realtà straniere. Sapelli insiste sull’urgenza di un cambio di rotta per ridare slancio al tessuto produttivo italiano, sostenendo la creazione di una nuova visione industriale che vada oltre la burocrazia e che favorisca la crescita attraverso l’innovazione e la cooperazione tra diversi settori.

Antonio Sileo, Programme director del Programma di ricerca Sustainable Mobility (SuMo) presso la Fondazione Eni Enrico Mattei, analizza la parabola dell’automobile in Europa, un’industria che, dopo aver conosciuto un grande successo, ora si trova a fronteggiare una serie di sfide strutturali. Il mercato è maturo, con numerosi fattori che riducono la domanda, come la saturazione del mercato e la difficoltà nell’adozione di veicoli ibridi ed elettrici, nonostante gli sforzi normativi dell’Unione Europea. L’aumento dei modelli a basse emissioni e la transizione verso l’elettrico non sono sufficienti per risollevare la produzione, con dati sulle immatricolazioni che parlano chiaro: un calo delle vendite e un futuro incerto per le case automobilistiche europee. Le aziende si trovano ora a dover scegliere tra ridurre la produzione e affrontare sanzioni, con una crisi che non solo interessa l’economia, ma ha anche un impatto sociale, minacciando posti di lavoro e il rinnovo del parco auto.

Spirito Artigiano non si limita a osservare la crisi, ma offre anche spunti per una possibile rinascita. Il magazine della Fondazione Germozzi è infatti un laboratorio culturale che mescola tradizione e innovazione, e in questo numero invita a riflettere su come l’artigianato possa essere un motore di cambiamento per la nostra economia. La Fondazione Germozzi, attraverso il suo progetto editoriale, ha contribuito a mantenere viva la discussione sul futuro dell’artigianato, che non è solo una testimonianza del passato, ma una risorsa fondamentale per costruire un futuro sostenibile.

Roberto Benaglia, già Segretario della Fim-Cisl, sottolinea come la crisi del settore auto non è solo ciclica, ma legata a sfide strutturali che spaziano dalla transizione ecologica alla trasformazione tecnologica. L’introduzione delle normative del Green Deal europeo, che prevede la fine della produzione di auto a motore termico entro il 2035, ha scatenato un acceso dibattito. Benaglia avverte che, per evitare la disintegrazione del settore, è necessario un piano industriale concreto che vada oltre il semplice rinvio delle scadenze, abbracciando la “neutralità tecnologica” e fornendo supporto agli investimenti e all’occupazione. Il sindacato, rappresentato dalla Fim-Cisl, ha chiesto risposte più robuste, poiché la produzione di veicoli elettrici impiega una quota significativamente inferiore di manodopera rispetto a quella tradizionale. In questo contesto, la politica industriale diventa un banco di prova cruciale, come ricorda Benaglia. Solo con un impegno concreto da parte di tutti gli attori coinvolti – industria, governo e sindacati – sarà possibile evitare una disintegrazione del settore e promuovere una trasformazione che risponda alle sfide ambientali senza sacrificare l’occupazione.

Enrico Quintavalle, responsabile dell’Ufficio studi di Confartigianato, approfondisce gli effetti della crisi dell’auto sull’industria meccanica, in particolare sulle micro e piccole imprese (MPI) italiane, che stanno vivendo una perdita media di 21 milioni di euro al giorno. La produzione di autoveicoli in Italia ha registrato una flessione drammatica del 27,2% nel 2024, portando il settore a uno dei periodi peggiori dal 2000. La domanda di veicoli elettrici, fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione Europea, rimane ben al di sotto delle aspettative, con meno di 6.000 auto elettriche immatricolate al mese contro le 49.000 necessarie. Questo calo, combinato con la crescente competizione delle auto cinesi, che oggi rappresentano il 3,1% delle importazioni italiane, ha aggravato ulteriormente la situazione. Le ripercussioni economiche non si limitano ai grandi produttori come Stellantis, ma si estendono a tutta la filiera, che include migliaia di PMI e microimprese. In Italia, infatti, oltre il 60% degli occupati nel settore automotive lavora nelle piccole imprese che forniscono componentistica. La crisi ha portato a un calo del fatturato per queste realtà, che hanno visto una contrazione di 5,1 miliardi di euro nei primi otto mesi del 2024.

Stefano Campanella, presidente di Confartigianato Meccanica e Subfornitura, denuncia una grave contrazione della produzione di autoveicoli, che nei primi dieci mesi del 2024 ha registrato un calo del 27,2%, paragonabile solo alle crisi del 2009 e del 2020. La recessione tedesca, mercato di riferimento per le esportazioni italiane, è una delle cause principali, ma non l’unica. Al centro del problema, anche la transizione ecologica imposta dal Green Deal, che prevede lo stop ai motori endotermici entro il 2035, e la stretta monetaria che grava sulle imprese, peggiorando ulteriormente la situazione.
Campanella sottolinea come, sebbene gli obiettivi di azzerare le emissioni siano giusti, le modalità con cui sono perseguiti appaiono insostenibili per le aziende, a causa di incentivi complessi da attuare e dell’alto costo del credito in Italia. Le difficoltà, inoltre, si estendono all’indotto della meccanica, con il 51,9% del valore aggiunto della filiera dei mezzi di trasporto su gomma derivante da attività manifatturiere, una fetta significativa che evidenzia l’importanza dell’artigianato nel settore. Il presidente Campanella esorta a una revisione delle politiche del Green Deal e a interventi urgenti da parte del Governo per sostenere le aziende, la cui sopravvivenza è minacciata dal calo degli ordini e dai debiti accumulati post-pandemia.

Domenico Lombardi, economista e direttore del Luiss Policy Observatory, in un’intervista di Federico Di Bisceglie, esplora le cause strutturali della crisi del settore. Secondo Lombardi, gli investimenti insufficienti in innovazione e la pesante regolamentazione statale sono tra i principali ostacoli alla competitività delle imprese italiane. A questi si aggiunge un carico fiscale elevato e i costi energetici sproporzionati rispetto a quelli degli altri paesi europei e degli Stati Uniti, che penalizzano ulteriormente le aziende italiane. Lombardi pone l’accento anche sul contesto geopolitico internazionale, con le tensioni con la Russia e la Cina, che stanno riducendo i flussi commerciali globali e complicando ulteriormente le dinamiche della filiera automotive. Il rischio, spiega, è che il settore industriale italiano perda una parte della sua identità, con la conseguente svalutazione delle sue competenze storiche. Un tema centrale nel dibattito è la transizione ecologica e le sue implicazioni per il comparto automobilistico. Lombardi critica l’approccio ideologico e troppo rigido delle politiche europee, che hanno penalizzato le imprese italiane. L’introduzione sul mercato delle auto elettriche cinesi, con una componentistica italiana, ha dato un vantaggio competitivo a un paese terzo, la Cina, senza che essa avesse fatto nulla per meritarlo. Per Lombardi, la transizione ecologica è necessaria, ma deve essere più pragmatica e meno ideologica, considerando le specificità del sistema produttivo italiano, basato prevalentemente su piccole e medie imprese.

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